I CAP.Mi girai e rigirai tra le lenzuola, una luce mi batteva sulla faccia, cercai di spostarmi ma poi….. Bofonchiai o forse lo pensai  “Ancora 5 minuti” ma ormai il sonno era rotto e lentamente cercai di mettere a fuoco le idee o di svegliarmi. Svegliarsi, una parola grossa ma almeno ci provavo. Mi accorsi subito che qualcosa non andava, la testa mi pulsava; avevo bisogno di un paio di pastiglie antidolorifiche che poi sarebbero quelle contro il mal di testa e poi’? Lo sapevo benissimo quello che era successo la sera prima, : una cena con alcuni ex colleghi di lavoro  e molto probabilmente avevo esagerato con il bere. In quel momento erano le sei del mattino e io ero andato a dormire alle due. Non era possibile, di sonno non ne avevo più. Mi facevo rabbia pensando alle dormite che mi facevo quando ero più giovane. Invece ora davanti allo specchio del bagno vedevo un volto rugoso con una barba ispida punteggiata d’autunno. No, non era proprio autunno quello era candido inverno. Sorrisi, non ci potevo fare niente il tempo passava per tutti e ormai era passato anche per me. Mai doccia fu così più apprezzata il getto tiepido che poi girai sull’acqua fredda mi diede una scarica di adrenalina e mi svegliai definitivamente. Alla fine una volta sbarbato e asciutto con un asciugamano allacciato ai fianchi fui in cucina. Guardai il tavolo, c’erano ancora le tazze della colazione della mattina del giorno prima. La casa era vuota, lei non c’era più, eravamo rimasti io e mio figlio. Lui aveva la sua famiglia e viveva in un’altra città e non avevo nessuna intenzione di fare il martire con telefonate strappacore della serie: il tuo povero papà è qui solo, fino a quando me la sarei potuta cavare era meglio che non gli dessi fastidio. A me bastava sapere che lui e la sua famiglia stessero bene. Tutto sommato solo avevo la mia libertà anche se in certi momenti la libertà data dalla solitudine mi pesava ma i momenti erano radi. I miei passi furono attutiti dal folto tappeto che avevo in soggiorno. In quel momento vagavo senza meta mi sembrava di essere uno zombi. Un caffè, avevo bisogno di un caffè e così dopo qualche minuto la moca che avevo sul fornello emanò un profumo celestiale: iniziavamo a ragionare!!! Bevvi quel caffè senza zucchero amaro e bollente. Ci voleva! Quella miscela mi fece ritornare sulla terra e ben svegliato detti una riordinata a casa. Magliette e camice volarono nel cesto della biancheria sporca in attesa di entrare in lavatrice. A stirare ci avrebbe pensato la donna che veniva qualche ora alla settimana per stirare. Le tazzine e scodelle con un paio di piatti furono in lavastoviglie che accesi immediatamente. Così dopo essermi vestito di tutto punto: si fa per dire agosto era appena passato e le giornate di settembre erano splendide di un tepore celestiale. Un paio di Jeans e maglietta potevano andare più che bene, completarono l’opera le scarpe di ginnastica e una volta messe potevo uscire, andare al bar farmi una colazione come dio comanda e naturalmente a fare un po’ di spesa. In casa avevo aperto la porta del frigorifero per vedere se c’era qualcosa da mangiare ma lui beffardo mi aveva presentato solo le guarnizioni per il resto era vuoto come il deserto. Il solito bar dove ero conosciuto, li mi facevano sempre festa. Claudia che lavorava dietro il banco sapeva ormai quello che volevo, così una volta al tavolo mi arrivò una tazza di cappuccino con una brioches alla nutella. Parlo del ripieno. La gustai di cuore, ne avevo bisogno. La solita scorsa al giornale, le varie notizie e poi sempre sfogliando il giornale la pagina dei morti che per mia fortuna erano tutti ultra ottantenni. Per quel giorno il Padre Eterno non aveva sparato sulle mie posizioni. Non dico di essere vecchio ma ormai ero vintage anche se mancava poco che diventassi un pezzo d’antiquariato e quando vedevo in foto uno con il mio anno di nascita provavo un leggero fastidio. Forse ero masochista e non lo sapevo, perché poi me li andavo a cercare? In bar cerano diversi studenti, le scuole erano iniziate e si era in settembre. Ai miei tempi si iniziava tutto il primo di ottobre e poi per fortuna c’era la festa di San Francesco Patrono d’Italia con un giorno di vacanza. Lo riconosco non sono mai stato uno studente modello, all’università avevo fatto il goliardo e non mi ero laureato nei tempi tecnici, ma visto quello che avevo fatto il fuori corso ci stava. Se non ci si diverte quando si ha 20 anni non ci si diverte più. Così una volta salutati gli avventori del locale fui in strada, dovevo andare a fare la spesa. Il supermercato era vicino e con le borse anche se pesanti non faticavo ancora per portarle. Il minimo indispensabile ero un fanatico dei precotti e cucinare non era il mio forte. In quel periodo pranzavo nel bar della darsena dove avevo tirato in secca la barca. I lavori erano terminati e non mi rimaneva che rimetterla in acqua. Lo scafo era stato ridipinto nuovamente e avevo dato l’antivegetativo; anche la tolda aveva ricevuto una mano di impregnante e il legno era lucido al punto giusto. Era una barca datata ma a me andava bene così, da solo riuscivo a portarla e quando prendeva il vento sembrava che lo scafo si lasciasse accarezzare dalle onde. Si piegava leggermente e lo sciabordio che si sentiva era simile alle fusa di un gatto. Forse erano sogni miei. Lo riconosco sono anche un romantico. Ma tutto questo me lo tenevo stretto. Sono del segno del capricorno e per antonomasia siamo solitari e tristi. Vero, tristi come un giorno di quaresima ai tempi dell’Inquisizione ma ero fatto così. Poi stando tra la gente ero chiacchierone ma le mie chiacchiere erano rivolte agli altri su come stavano, cosa facevano, come andava il lavoro. Di me sapevano poco mi ero sbottonato solo una volta davanti a un buon bicchiere ma mi ero tenuto sul vago. Si, sapevano che ero un appassionato della lettura della mano e dei tarocchi e per questo mio hobby più di una volta mi si era avvicinato l’avventore chiedendomi se potevo leggere le carte a un suo conoscente che era presente e aspettava. Come non dire di no, quei momenti erano belli e si stava bene. Ma altro: no erano cose mie. Mi piaceva scrivere, le poesie brevi giapponesi Haiku ma più che altro erano pensieri. Come li chiamavo io ghirigori d’inchiostro su foglio bianco. Dunque la mia vita si svolgeva così ed ecco che quel giorno mentre stavo per entrare al supermercato incrociai una persona anzi facemmo quasi scontro. Lei usciva e io entravo o no, forse era già uscita, spingeva un carrello della spesa con un paio di borse dentro aiutata da una bimbetta di tre o quattro anni. Doveva essere arrivata in macchina perché di solito il carrello si usa anche per arrivare al posteggio e poi caricare le borse in auto per poi naturalmente riportarlo. Ma andiamo con ordine. Lei parlava con calma alla bambina che voleva spingerlo a tutti i costi e maldestramente visto che erano in due il carrello cambiò direzione venendo verso di me. Ci fu un “ocio che fasemo scontro” e a quella voce lei alzò gli occhi e ci guardammo. Era una bella donna, un bel faccino abbronzato e due occhi chiari come due laghetti alpini. Se erano chiari vuol dire che era bionda ma non era più……insomma lungi da me dire l’età di una donna ma non mi quadrava, quella bambina non poteva essere sua figlia. Rimasi colpito da quello sguardo, le due dopo quelle parole di scusa si allontanarono chiacchierando tra loro. Poi, poi quel viso lo conoscevo, forse mi sarebbe venuto in mente dove lo avessi già incontrato. Sicuramente doveva trattarsi di una persona che avevo incontrato per il mio lavoro. Però il nome non lo conoscevo non mi veniva in mente niente, poi per i nomi sono negato. Rimasi pensieroso e poi tutto sommato era una bella signora. Indossava una giacca chiara e un paio di pantaloni con sotto una maglietta che le modellava un bel decoltè. Ma che cavolo di pensieri mi venivano in mente, l’avevo vista appena eppure……Si, la domanda che mi ero fatto, dove diavolo l’avevo incontrata? Ma, la voce quelle poche parole che avevo sentito: una voce leggermente rauca con quella solita cadenza veneta del posto che mi mandava in tilt. Sorrisi e entrai così con quei pensieri nel supermercato.

Stavamo uscendo dal supermercato, ero andata a fare la spesa con la mia nipotina, quel giorno era in vena di parlare. Un trillo continuo, e alla fine dopo aver fatto la spesa e essere passate alla cassa ecco che ci stavamo dirigendo verso l’uscita. Lo sbuffo delle porte scorrevoli che ci avrebbero permesso di accedere all’area dei parcheggi. La mia bambina mi aiutava a spingere il carrello dicendomi che non mi dovevo affaticare. Mi colpiva tutto quel parlare e a quel punto uscendo rischiammo di travolgere un signore che entrava. Quelle poche parole dette e quello sguardo. Lo conoscevo, sicuramente lo conoscevo, ma non mi ricordavo dove lo potessi aver incontrato. Chissa se lo avessi incontrato nuovamente forse avrei potuto chiedergli se ci conoscevamo. Poi aveva parlato in veneto e io avevo risposto in Italiano, non era un veneto del posto, avevo qualche anno ma le differenze le distinguevo ancora. Barba bianca e senza capelli, eppure gli occhi e l’occhiata che mi aveva dato, conoscevo quello sguardo. Alla fine però dopo aver caricato le borse nel bagagliaio dell’auto rientrammo a casa, il solito traffico. Non vedevo l’ora di andare un po’ in spiaggia a prendere sole, l’ultimo sole della stagione. Mi reputavo già in ferie anzi ferie allungate ero andata in pensione e ero felice. E poi in quel momento mi coccolavo mia nipote.

Dopo la spesa e aver visto le solite facce al supermercato con una borsa piena e un’altra piena a metà ritornai a casa promettendomi di iniziare ad usare la borsa con le rotelle le borse della spesa mi iniziavano a pesare, possibile che pesassero tanto? Poi tra il peso delle borse e l’incontro che avevo fatto entrando la giornata stava diventando troppo complicata. Io sono metodico. Per finire entrando in casa trovai una busta nella cassetta delle lettere. Era stata consegnata a mano, non era ancora passato il postino. La ebbi in mano, immaginai la solta pubblicità e invece sopra dove si scrive l’indirizzo ecco che c’era il mio nome e il soprannome che avevo alle superiori. Fu questo il motivo perché non la buttai direttamente nel bidone delle immondizie. Per l’esattezza quello in cui si butta la carta, avevamo i rifiuti differenziati. Così dopo aver lasciato la lettera sul tavolo della cucina e aver messo in frigorifero il deperibile l’aprì per vedere di che cosa si trattasse. CONTINUA